La mia storia…
Qualche settimana fa la giornalista Laura Preite ci contatta in associazione dopo aver visto la conferenza stampa alla Camera dei Deputati della delegazione della campagna di sensibilizzazione #basta tacere su i temi della violenza ostetrica e la difesa dei diritti della partoriente e del neonato.
E’ interessata ad approfondire la mia storia. E’ rimasta molto colpita dalla campagna e dai resoconti delle donne che hanno dato voce alle loro storie attraverso i cartelli (infatti scriverà un articolo anche su questo). Mi dice di non sapere come funzionano le case parto e mi chiede come faccio a non avere paura dei rischi di un parto in casa.
Le spiego che la campagna #bastatacere non è stata una sorpresa purtroppo.
Già studentessa di Dietistica mi imbattei in studi sull’interferenza tra epidurale e allattamento al seno. Lessi all’epoca che i neonati la cui madre ha vissuto un’anelgesia epidurale mostravano statisticamente più problematiche in fase di inizio allattamento.
Non sono in grado ora di citarvi gli studi, ma vi posso dare idea di quanto quell’informazione mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Nel mio vissuto infatti l’epidurale era una grande conquista e quella piccola luce contribuì a spostare l’attenzione dalla partoriente al neonato e evidenziò una certa faciloneria nella condivisione delle informazioni con gli utenti dei punti nascita
…forse stavo solamente crescendo…
Per me entrare nel mondo del latte materno era stata una scoperta meravigliosa e piena di stupore e pensare di interferire su quell’equilibrio prezioso per l’individuo e per la specie cominciò a sembrarmi un delitto silenzioso ai danni dell’inconsapevole umanità.
Anni più tardi (parecchi) mi ritrovai ad essere direttamente interessata all’argomento. Ero incinta di Anita e quei ricordi scientifici riaffiorarono per permettermi di inoltrarmi nel percorso della maternità consapevole.
Iniziò un periodo di informazione, formazione, scambio, raccolta delle questioni che ritenevo rilevanti per capirci qualcosa del mondo nascita.
Volevo il meglio per me e per la vita che stava arrivando e questo meglio si tinse dei libri di Michel Odent, degli incontri di Freedom, di Elena Skoko e del suo libro, di Lisa Canitano che mi informò dello spazio della casina di Ostia.
Grazie a questo percorso, ma sopratutto grazie all’incontro con la sofferenza delle donne e dei loro racconti riuscii a focalizzare precisamente cosa doveva e cosa non doveva essere.
Ricordo perfettamente i pianti delle donne violate da un cesareo non necessario o da una episiotomia “perchè è la prassi”. Alcune di loro sono mie amiche e la vicinanza emotiva ha amplificato quel dolore.
Ricordo dei racconti di lotta (con chi doveva confortarle ed assisterle) solo per chiedere di avere accanto il loro bambino.
Provai allora (e tuttora) un misto di rabbia, tristezza e accoglienza per quel dolore e decisi che non doveva essere il mio. Io volevo una storia diversa. La mia piccola doveva ricevere un imprinting diverso, venire al mondo guardando la sua mamma, nel silenzio, senza luci accecanti, pelle a pelle. Con me.
Le persone che ho incontrato in quei 9 mesi mi hanno indirizzato più o meno inconsapevolmente verso la casa parto di Acqualuce, dove le mie aspettative si sono trasformate in una nascita serena e rispettata, che mi ha reso forte fisicamente e psicologicamente.
Tutto è filato liscio e Anita ha potuto godere dell’allattamento al seno per 23 mesi (nonostante l’incontro con una pessima pediatra della asl che a 4mesi pretendeva di rifilarle omogeneizzati alla frutta…).
Una volta compreso di essere una mosca bianca e di essere stata consapevole si, lungimirante si, ma anche tanto tanto fortunata a me questo concetto di fortuna ha cominciato a starmi parecchio stretto.
La nascita dell’associazione Nanay avviene pressapoco in quel periodo, il confronto con Nadia e Annalisa ci spinge a premere l’accelleratore su i temi della maternità.
Siamo divise dentro. Non siamo preparate a quello che sta per accadere.
Arrivano in associazione ragazze in gravidanza e abbiamo desiderio e paura di dirgli che la fuori è una merda, che il sistema non tiene conto dell’amore che lega una madre al neonato come strumento di cura, che il parto è troppo medicalizzato e crea danni permanenti all’umanità.
Cerchiamo di dirlo con grazia, di non allarmare la serenità di una donna in gravidanza, ma spesso poi ritornano a noi con dei racconti tristi, con delle ferite nel corpo e nell’anima che mettono in sofferenza anche noi che le abbiamo incontrate.
Potevamo aiutarle di più?
Ci facciamo tante domande, cerchiamo di capire come essere più efficaci, muoverci verso il cambiamento, ma senza spaventare…
ma come si fa?
oggi, Roma, Italia, 2016
la situazione è fuori controllo
io stessa al di fuori di Acqualuce dove avrei sbattuto la testa? Avrei dovuto rinunciare a questo momento unico? magari starei qui a ricordarmi le facce dei sanitari e i loro camici invece degli occhioni di Anita che entra nelle mie braccia mentre emerge dall’acqua
sono stata una privilegiata in questa società malata e ho il dovere di diffondere l’informazione che si può (e si deve) nascere diversamente (e magari evitarsi varie sessioni di rebirthing da adulti per sanare le ferite)
Qui entra in gioca Elena Skoko. La contattiamo in associazione per godere del suo percorso di parto cantato e del suo workshop. Comincia la relazione con lei.
Un giorno le diciamo chiaramente che qui la situazione è troppo frustrante e che desideriamo intervenire in modo più mirato per cambiare il mondo nascita.
Non molto dopo ci propone un idea.
Lei che da tempo lavora nell’attivismo con Human right in chilbirth, dopo aver compreso dell’utilità di far emergere mediaticamente il problema della violenza nel parto, crea la campagna #bastatacere e ci chiede di sostenerla.
Siamo ovviamente piene di gratitudine.
Questa esperienza è stata arricchente e arriva in un momento di grandi dubbi sulla possibilità reale di cambiare le cose.
Inizia così la campagna #bastatacere insieme alle ragazze della Goccia magica, di Alma Mater, di Ciao Lapo e di tutte le altre che scusate la memoria fallace, ma siete tutte con me…
iniziano 2 settimane di turbinio emotivo, di ore al pc a raccogliere i cartelli, di pianti e rabbia mentre li leggi, di pause perchè sei incinta e devi preservare la tua serenità
ah già
nel frattempo a novembre 2015 resto incinta e aspetto un’altra bimba
nel frattempo Acqualuce ha chiuso e io a leggere quei cartelli e a ricordare i racconti che già mi avevano condizionato nel 2013, proprio non trovo un ospedale che mi fa stare tranquilla
lo so che diverse persone troveranno bizzarra la mia scelta
e che guai a dire che l’ospedale non è un posto sicuro per partorire
ma io sono una donna forte, giovane (si vabbè ho 40anni e sono giovane ok?)
ho l’esperienza stupenda di Anita nei ricordi e nel cuore
e dovrei inserire la retromarcia? magari provare l’ebrezza della separazione con mia figlia al nido? studiare in vivo su di lei i nessi tra diabete e somministrazione di glucosata alla nascita?
la scelta più in linea con la mia vita e il mio sentire è starmene a casa e partorire lì con la vicinanza di ostetriche professioniste
nel frattempo pubblico e privato si mescolano
la campagna #bastatacere si chiude (e ancora oggi arrivano nei messaggi altri racconti)
e si inizia con OVO: nasce l’osservatorio sulla violenza ostetrica.
Qualcuno avrà a che ridire sul nome e in modo tanto italiano (direbbe Stanis La Rochelle) si parlerà di forma e non di sostanza e giù critiche a chi ha, concedetemelo, il merito di aver fatto emergere un problema, di aver creato uno strumento di confronto e di dialogo e, cosa più importante pubblicato in rete un questionario per raccogliere dati sul fenomeno che invito tutte a consultare e compilare per accrescere un patrimonio di informazioni che sarà utile a tutti.
Cosa aggiungere per dire che da donna, da madre in relazione con altre donne, da utente insoddisfatta del servizio maternità e nascita
questo è stato un anno speciale
che la piccola che ho dentro e quella già fuori che si muove nel mondo mi danno ancora più energie per parlare, smuovere, condividere con voi
questa mia consapevolezza
che qui
o cambiamo il modello nascita
o le speranze di veder cambiare il mondo restano poche…
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